Steward “poliziotti” e galera per tutti.

ROMA (25 aprile) – «E’ come prendere una macchina in prestito una volta a settimana: non sai mai quanta benzina ci trovi». Che c’entra con il tifo violento? «Che la domenica mattina non sappiamo mai quanti bastoni, quante asce, quante bombe carta sono nascoste nello stadio che prendiamo in consegna». La metafora dell’investigatore è semplice ed efficace. E rappresenta solo uno degli snodi attraverso i quali potrebbe passare nel prossimo futuro il ridimensionamento della criminalità organizzata delle curve. Perché la chiamano così, alla stessa stregua delle cosche. Almeno da quando le indagini recenti sugli scontri di Roma che seguirono la morte di Gabriele Sandri hanno consentito di individuare collegamenti tra tifoserie avverse e lontanissime, anche geograficamente. Che fino a qualche tempo fa tenevano letteralmente in ostaggio le società di calcio, come ha evidenziato ieri Roberto Maroni.

Oggi le cose stanno cambiando, dice uno degli investigatori maggiormente impegnati in questa guerra della domenica pomeriggio: «Niente nomi e ti racconto qualcosa» è la premessa. Poi spiega: «Quali erano le società maggiormente sotto scacco delle tifoserie? Forse faccio prima a dire quelle che lo erano di meno: le milanesi e la Juve. Perché hanno un tifo frammentato in tutta Italia e il campanilismo è minimo. Ma bisogna dire che le altre stanno facendo molto per sottrarsi a queste pressioni, la Lazio soprattutto». La ricetta esiste: la recitano quasi a memoria in molte riunioni riservate dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive del Viminale. Il primo punto prevede il trasferimento della proprietà degli stadi (o la gestione permanente) alle società di calcio che ci giocano. Oggi invece – come ha ricordato Maroni – fatta eccezione per l’Olimpico di Roma, gli stadi sono dei Comuni. Che li passano alle società sportive la domenica mattina, senza che nessuno abbia vigilato in maniera serrata su chi ha avuto accesso all’impianto nel corso della settimana per rifornire i piccoli arsenali dai quali escono lame e fumogeni ancora prima del calcio d’inizio.

La seconda criticità nel sistema sicurezza riguarda gli steward: «Sono volenterosi – dice l’investigatore – ma non possono fare praticamente nulla». La soluzione sarebbe dietro l’angolo: dargli un riconoscimento giuridico più forte, ad esempio ”ausiliari di pubblica sicurezza”. Esiste già nelle procure, questa figura di supporto: sono ausiliari di polizia giudiziaria – ad esempio – i tecnici dei gestori telefonici che forniscono tabulati e intercettazioni; o il medico che certifica l’entità di una lesione. Allo stesso modo, gli steward potrebbe essere di ausilio alle forze dell’ordine nelle operazioni di controllo allo stadio: «Almeno potrebbero perquisire le persone», sbotta l’investigatore.

E poi, piaccia oppure no, i responsabili della sicurezza del Viminale guardano con sospetto certe procure: «Diciamolo chiaramente, i capi delle tifoserie violente sanno benissimo che anche dopo gli scontri più violenti al massimo resteranno una notte in caserma. In Inghilterra ce li lasciano qualche anno». Il problema – spiega l’uomo della Prevenzione – è culturale: «Fino a pochi anni fa, la rappresentazione del tifo del sociologo Antonio Roversi era impeccabile: lo stadio era un serbatoio di compensazione sociale, dove molti potevano scaricare tensioni e frustrazioni personali. Oggi è cambiato tutto: i capi delle tifoserie hanno fiutato il business. Hanno capito che governando le masse possono soddisfare interessi personali. Non è più voglia di riscatto sociale, ma criminalità».

Cosa c’entra con le procure? «C’entra perché talvolta si ha l’impressione che una certa indulgenza dei pubblici ministeri derivi dalla mancata comprensione della gravità del fenomeno. Non si capisce se sia una scelta ideologica piuttosto che sociale, però il risultato è che i criminali delle curve non hanno alcun timore di quello che può accadergli in tribunale». E allora il passaggio obbligato diventa legislativo: qualcuno già pensa di introdurre pene alternative al carcere, ma egualmente afflittive: attività socialmente utili, ad esempio. Da accoppiare al Daspo. In modo che le teste rasate di certe curve non solo dovranno restare lontane dallo stadio, ma saranno costrette a passare la domenica pomeriggio – ad esempio – aiutando i ragazzi handicappati o gli anziani. Con la speranza che li aiuti a riflettere.

Il messaggero

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